
La parola “rivoluzione” è sempre stata, insieme alla parola “riforme”, familiare al linguaggio della sinistra, sin dagli albori del movimento operaio. Poi, grosso modo a partire dagli anni ’80, è scomparsa dal suo lessico diventando un tabù impronunciabile o un “arcaismo” di gruppi minoritari. Oggi inaspettatamente, quando tutti a sinistra hanno paura di pronunciare questa parola, essa viene usata con forza dalla destra. La Rivoluzione è all’ordine del giorno ed è una Rivoluzione contro l’ordine delle cose esistenti imputato “abilmente”, ma a torto, alla sinistra. “La destra è cambiamento” e la sinistra è descritta come conservazione. Così eccoci a Trump. In realtà si vogliono cambiare e distruggere le conquiste che i progressisti hanno ottenuto nei decenni scorsi in ordine a uguaglianza, opportunità, diritti e welfare. “La lotta di classe esiste e la stanno vincendo le classi dominanti.”
(L. Gallino: la lotta di classe dopo la lotta di classe). O forse contro Trump c’era un sinistra troppo alla camomilla? Il triste presago del filosofo Slavoj Zizek si è avverato ma mi chiedo se “bisogna votare Trump perché la sinistra si radicalizzi e impari?”. O forse più semplicemente “non conosciamo il nostro paese”. E questo vale anche per noi, in Italia? Non so se è una riprova che “al centro non si vince” con la moderazione compassionevole di una sinistra integrata e impotente contro la globalizzazione, la finanza, la rivoluzione digitale che distrugge lavoro e gli imponenti flussi migratori. Certo la Destra offre soluzioni apparentemente efficaci ma che si riveleranno presto disastrose. Ma intanto vince in America. E domani?
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