
Il 21 agosto saranno passati 50 anni dalla invasione sovietica della Cecoslovacchia. Lì è crollata l’idea che i paesi socialisti fossero portatori di un avvenire da imitare, anche da noi in occidente.
Per alcuni, in verità, quell’idea era morta molto prima, a Budapest nel 1956. Nella Praga occupata dai carri armati del patto di Varsavia finì definitivamente il mito del comunismo e, insieme a questi, del socialismo.
”Praga è sola” titolerà , un anno dopo, un rivista ancora interna al mondo del comunismo italiano. Io in quel 21 agosto 1968 ero al Liceo Omero di Bruzzano e ricordo ancora lo sgomento di quanto stava accadendo. Eravamo increduli che si potesse schiacciare l’ansia di rinnovamento e la voglia di libertà della società cecoslovacca che insieme al suo leader comunista, Aleksander Dubcek, cercava la sua ”via”. “Dubcek –svoboda” era lo slogan ripetuto, anche dal nostro movimento studentesco, a sostegno di quel tentativo riformista. Ma quel tentativo fu cancellato dai carri armati.
Da quel giorno molti, come me, scelsero un’altra via che non poteva essere quella “portata” dai carri armati. Da lì la nostra vicinanza a tutte le dissidenze e a tutte le minoranze perseguitate dentro e fuori il mondo socialista. Ricordo ancora l’ossessione di capire cosa fosse successo anche più tardi, quando nel 1978
, il Manifesto organizzò a Venezia il primo convegno sul dissenso all’Est sotto il titolo “Potere e opposizione nelle società post- rivoluzionarie”.
Quella solitudine del 1968 fu fatale alla primavera di Praga e, probabilmente, è ancora responsabile dei mostri di oggi che si richiamano al famigerato gruppo di Wisegrad.
“La storia, lo sappiamo, non si fa con i se, ma non possiamo non dire che se allora a quell’intervento la sinistra tutta avesse reagito subito diversamente, forse non ci saremmo trovati a che fare con una Wisegrad. Non sarebbe stato un bene solo per l’est europeo, ma anche per la nostra sinistra” (L.Castellina, Il Manifesto del 19 agosto 2018)